lunedì 26 settembre 2011

Ha’rrivate Sande Coseme!


Si usa dire  Ha’rrivate Sande Coseme!” ...Sui calendari è riportato S.S. Medici Cosimo e Damiano… ma non tutti sanno però  che la tradizione  religiosa parla di cinque fratelli: Cosma e  Damiano, i fratelli maggiori, medici  e  Antimo, Leonzio ed  Eupreprio, i fratelli minori che facevano da assistenti. Tutti e cinque perseguitati martirizzati e uccisi per decapitazione.
Sempre per tradizione  si pensa che Cosma e Damiano fossero gemelli… ma chissà che questo non sia uno dei tanti utilizzi cristiani di un culto pagano, quello dei Dioscuri: Castore e Polluce, i gemelli che Giove ebbe da  Leda. Diòs Kouroi,  dei che accorrevano dove qualcuno era in pericolo, erano invocati per ogni assistenza, … proprio come S. Cosimo e Damiano.
Per tradizione, credenze popolari e religiose.... molti sono i miracoli operati da questi Santi, i più famosi sono diventati leggende.
L'episodio più famoso è quello del guardiano della basilica romana dedicata ai S.S. medici che aveva il cancro ad una gamba. Una notte gli apparvero i due santi martiri con oli, unguenti e un coltello in mano. Disse un fratello: "Dove possiamo prendere una gamba sana?". E l'altro rispose: "Oggi nel cimitero di San Pietro in Vincoli è stato sepolto un etiope."
Quando il guardiano si svegliò si accorse di essere perfettamente guarito, sebbene la gamba non fosse più bianca ma nera.

Questi i motivi per cui i S.S. Medici  sono considerati i patroni dei Medici, dei chirurghi, dei farmacisti, e… dei barbieri... a qualcuno potrà sembrare strano ma non lo è … i barbieri in passato non tagliavano solo  barba e capelli, ma erano assistenti dei medici che si limitavano solo a diagnosticare le malattie.

Ci sono dei modi di dire usati ancora oggi, che ricordano questo:
Pe sanà ce vole u' miedeche vecchie, spizziale ricche, barbiere giovene
dove appunto si parla di barbiere non di chirurgo…

Di solito quando si vede una persona che esce dal barbiere con un taglio un po’ troppo corto o non  proprio ben fatto si usa dire: “Sta vote t’ha sagnate proprie!”
dove per “sagnare” s’intende dissanguare, infatti per curare l’ipertensione una volta il rimedio era uno solo: il salasso,   e guarda caso, sapete chi praticava i salassi?...  i barbieri, si, proprio loro, anzi, solo ed esclusivamente loro,  che avevano anche l’esclusiva di cavare denti e  praticare clisteri, panacea ad ampio spettro applicato ad ogni sintomo.

mercoledì 27 luglio 2011

L'Acchiature

Abbiamo parlato di Jettatori, malocchio e aùre accennando appena a l’acchiatùre , ossia di luoghi segreti in cui si trovavano dei tesori.
Fino a una decina di anni fa si poteva ancora vedere sulla strada principale (Via Sanguzza ang. Via del Perugino) una vecchia costruzione – na casa a cannìzze (antica costruzione rurale fatta di pietre, con la tecnica dei muri a secco) – abbandonata e coperta di muschio e erbacce. Proprio davanti all’uscio c’era, un masso squadrato che faceva da sedile, e proprio sotto questa grossa pietra si diceva ci fosse l’acchiature : un tesoro costituito da na’ voccola cu le puricìne (una chioccia coi pulcini), naturalmente d’oro – da questo prende il nome la zona, detta appunto Puricino.
Leggenda vuole che la voccola si palesasse portando a spasso i suoi puricini, dalla mezzanotte in poi nelle notti più buie, in cui bisogna cercare la falce di luna appena percettibile tra le nuvole. Quando la chioccia e i pulcini andavano a passeggio erano animali normali, non d’oro. Solo trovando dove si nascondevano si potevano ammirare in tutta la loro  luccicante aurea natura.

Chi riusciva ad accattivarsi le simpatie d’u  aùre poteva sperare che lui gli svelasse quando andare a vedere la chioccia e i pulcini, il tesoro animato  di cui impadronirsi.  Vi sembra facile? Ma non finisce qui.
Il prescelto dal aùro oltre ad essere fortunato doveva anche avere una una buona dose di forza e coraggio, perché doveva recarsi sul posto da solo e a mani nude, senza portare torce e/o badili, tantomeno armi proprie e/improprie . Una volta arrivato  proprio sul  grande masso  davanti la porta, c’era il guardiano del tesoro, figura non definita, c’è chi dice di aver trovato un guerriero in armatura con minacciosa spada sguainata, chi un uomo incappucciato con bastone e falce (tipo raffigurazione della morte da noi detta “a senza nàse”), chi una nidiata di vipere proprio sulla pietra.
Chi con coraggio affrontava tali guardiani, di solito vinceva perché,  vox populi, non erano reali ma solo  allucinazioni…(ma ci mette ‘u campanjidde n’canne a jatta?)
Una volta sconfitto il guardiano bisognava spostare il masso di pietra sotto il quale si nascondeva la voccola coi puricini, operazione impossibile perché a quanto di dice, questo masso era pesantissimo e più si cercava di spostare più diventava pesante.
Molti si vantano di essere andati sul posto per tentare la sorte,  c’è chi dice anche di aver combattuto contro i guardiani, tornandosene a casa con le ossa rotte… chi per la paura e le botte è impazzito…
Oggi quella vecchia casa non c’è più e viene da chiedersi: < ma qualcuno ha  mai  acchiàto l’acchiaturo? >
e questo non si sa,  è ancora un mistero…e forse lo rimarrà per sempre.

martedì 26 luglio 2011

Jettatori e malocchio tra laùri & C.

Al mondo esistono il Bene e il Male, i quali per manifestarsi usano i modi e le forme più disparate. La scienza non è sufficiente a debellare il bene e il male che si nascondono nelle recondite pieghe della nostra anima.
Ci sono individui che appena s'inseriscono in un gruppo emanano gioia e benessere, altri all'opposto, che procurano discordia e disgrazie. Mentre i primi vengono ricercati per la loro piacevole compagnia, i secondi vengono sfuggiti perchè portatori di jella, jettura e malocchio.
Come considerare il malocchio? Realtà o suggestione collettiva?
Oggi è difficile credere che il termine "malocchio" sia ancora in uso per indicare qualcosa di attuale e non qualcosa di superato, eppure è così. Per "malocchio" intendiamo "la capacità innata, che certe persone hanno, di procurare, volontariamente o involontariamente, danni di varia entità a cose o persone attraverso una sorta di energia negativa, emanata attraverso lo sguardo"...... 
La letteratura ci offre a tal proposito opere come:
"La patente" - di Luigi Pirandello dove il protagonista Rosario Chiarchiaro pretende che gli sia rilasciata una pubblica patente di jettatore per trarne profitto - e "Gestures" - di Desmond Morris, il quale, asserisce che noi italiani siamo il Paese in cui l'atteggiamento delle corna è vivo e vitale, ma anche che nessun popolo si sottrae alla scaramanzia.
Chi in un modo chi in un altro, tutti crediamo al malocchio, e anche se gli approcci sono diversi utilizziamo gesti scaramantici o propiziatori cercando di non farci trovare impreparati quando la "iettatura" bussa alla  porta. Ed è per difenderci da tale maleficio che utilizziamo: cornetti rossi, gobbetti, occhi, ferri di cavallo, di quadrifogli, tartarughine, elefantini e chi più ne ha più ne metta, che sono degli amuleti "sacri" per proteggersi dagli influssi malefici.
Alle origini del malocchio ci sono credenze estremamente antiche e singolari legate all'importanza,  sia sacra sia magica,  dello sguardo e dell'occhio.
Presente anche nella cultura romana, dove il malocchio era chiamato "fascinum" (malìa) - da cui il nostro termine "l'affàscin'" - dovuto talvolta allo sguardo involontario che colpisce con una lode specialmente i bambini piccoli.
Di solito per definire una persona che accusa un malessere diffuso, stanchezza, apatia, inappetenza, mal di testa, e a volte anche febbre,  usiamo dire che "ha state affascinate". Oltre all' "affascino"  esistono anche altre forme di malocchio:
"la jettatura" - (dal latino jàcio, getto) - cattivo influsso determinato dalla presenza di certe persone.
"'u pìcciu" - (la molestia) che si manifesta con sottili parole d'invidia verso chi ha successo - tanto che esiste un vecchio detto che dice: "Mègghie nu cane rabbiuse de nu vicine 'nvidiuse" (E' preferibile venire azzannati dai cani rabbiosi che essere invidiati dai cattivi vicini).
Esistono vari rimedi per liberarsi dalle energie negative sprigionate dal potere dell'occhio. Per prima cosa bisognava rivolgersi alle "masciare", fattucchiere. Differentissimi sono i rimedi utilizzati per neutralizzare il malocchio. Tra questi l'uso delle corna e di altri gesti apotropaici, per sollevarsi dai pruriti, la formulazione di particolari espressioni come "occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio", l'utilizzo di talismani scaccia iella.
Tuttavia, esistono anche dei veri e propri rituali che vengono eseguiti da coloro che, a loro dire, detengono un potere speciale che servirebbe a debellare le fatture, masciare stregoni, fattucchieri maghi, veri o presunti.
Solitamente tale potere è detenuto dalle donne, persone a primo avviso normalissime, che nel silenzio delle loro case praticano i riti più disparati. 
Il cerimoniale più utilizzato è quello della "prova dell'olio". Si riempie una ciotola di acqua e si pone sul capo della persona "'fascinata". Vi si aggiunge un goccio d'olio e, dopo aver recitato tre Gloria, un Pater Noster, il Credo, recitava una formula:
"jess, uecchhie maledette,
 ca mò trase Gesù Criste.
 E pe'u nome d' Gesù,
 jess' maluecchie e nò turnà cchiù.
 E pe' 'a Santa Nott' de Natale,
 se squagghie come a sckume de mare".

... e fatto il segno della croce sulla fronte del malcapitato, si mescolano i due liquidi e si aspetta, recitando:

"uecchie, maluecchie, malincunie
 ca mò trase a Madonna mejia
 E pe'u nome de Maria
 assite fore da vita mia.
 E pe' 'a Santa Nott' de Natale,
 se squagghie come a sckume de mare".

Se la goccia d'olio nell'acqua si allarga o si divide, il malocchio c'è, se rimane compatta, non c'è.
La formula recitata da queste donne è un mistero. Si tramanda da madre in figlia, da nonna a nipote e si può imparare a memoria solo durante la notte di Natale o di Pasqua. 

E' interessante notare come il sacro si mescoli al profano e come elementi pagani siano sopravvissuti all'incalzare del tempo.
Chissà quante volte abbiamo detto: "t'è mise come nù laùre" - rivolgendoci ad una persona petulante e opprimente. Questo detto deriva da una curiosa e radicatissima credenza popolare: la leggenda dei "LAURI", ossia  una specie di folletti definiti dalla tradizione folkloristica popolare, come strani esseri che vivevano tra le mura domestiche - che ricordano i "lari" dei romani, protettori delle case. Potevano essere:
Lauri benigni - come quelli che aiutavano i contadini nei lavori più disparati; ad esempio badando agli animali durante la notte e, in alcuni casi, mungendoli o strigliandoli; oppure regalando monete d’oro; o tenendo gli animali selvatici lontani dai campi; oppure riempivano di caramelle le culle dei bambini.
Lauri maligni -  come quelli che si divertivano a fare i più svariati tipi di dispetti, come rompere i coperchi delle pentole nel cuore della notte, facendo un gran baccano; intrecciare le criniere dei cavalli in treccine indistricabili, turbare il sonno e i sogni delle giovani fanciulle; oppure dormire sul petto delle persone togliendo loro il respiro.
Secondo la tradizione, i Lauri altro non erano che anime di bambini morti prematuramente, o anime di uomini morti senza ricevere i sacramenti.
Il nome di Lauri, probabilmente, deriva dall’albero in cui si diceva, abitassero (l'alloro o Lauro, appunto).
Si dice che fossero dotati di svariati poteri magici che li rendevano quasi invulnerabili, specie nel cuore della notte. Il loro potere diminuiva con l’avvicinarsi dell’alba, momento in cui era possibile per un uomo affrontarli.
Se, lottando con uno di loro, l’uomo fosse stato capace di togliergli il cappellino rosso a sonagli (fonte dei loro poteri) avrebbe vinto la sua lotta, e il folletto avrebbe perso i suoi poteri magici.
Inoltre, in questi casi si diceva che il folletto chiedesse la restituzione del cappello; e il dialogo con il Lauro, la contrattazione per il possesso ed infine la restituzione del cappello avrebbe consentito all’uomo di vivere in maniera diversa la propria vita futura, tra i favori delle forze soprannaturali e la gratitudine del folletto da lui affrontato.
Certo, sembra solo una favola, il classico “racconto della nonna”, una storiella inventata per far star buoni i bambini. Naturalmente, sembra impossibile che qualcuno possa credere ad una storia simile, i folletti, si sa, sono esseri che appartengono all’immaginario, sono parte del folklore di tutte le popolazioni.
Ma c’è dell’altro. È sicuramente strano il fatto che questi esseri, oltre che nelle case e nei boschi, siano stati avvistati nelle vicinanze di monumenti come Dolmen e Menhir e soprattutto nelle vicinanze delle chiese. E qui ci si può ricollegare ad un altra leggenda: quella delle cosiddette acchiatùre.
Questo termine deriva dal verbo "acchiare", (trovare); e le acchiature sono dei tesori inimmaginabili nascosti sotto i Menhir o sotto i pavimenti delle chiese. E sembra che siano proprio i Lauri ad essere i custodi e i guardiani di questi tesori. Non a caso, in cambio del cappellino sottratto loro, promettono spesso una pentola piena di monete d’oro; oppure indicano i luoghi dove giacciono nascoste le acchiature a persone che loro ritengono giuste o meritevoli di ricchezze.
I miei nonni paterni erano di Lizzano, dal 1920 si ni vennero allu calavresi….(si trasferirono a Talsano)
Abitavano in case in affitto e ne hanno cambiate tante… siccome le storie dei Laùri sono legati alla casa anche mia nonna oltre le leggende aveva il suo bel racconto personale… in una di queste case…
ma  lo racconto con le parole di mia nonna:
" A sera d’u prime giurne trasùte, stè spittava cu turnava Cosimo (mio nonno) ca  dimmurava e spiett’e spiette  ‘ncasuttai sobb’alla seggia…Totta na vota … nu mappìnu  cu na manu fredda …  Mi scantai e zumpai diponta, e sintii nu rumore de framogghie, scappai for’all’uertu a tiempu a tiempu pi vidè nu piccinnu , iertu quantu tre palmi, cu nu cappucciu russu ‘ncapu. 
Ndre a quiddu mentre trasì Cosimu, <Ce t’a ‘cappatu? Pari na morta ‘bivisciùta>
<Cittu Co’ ca lu laùru ma datu nu mappinu, è segnu ca intra sta casa no ni vole!>
< Mo zzecca cu li cunti… anzi sa cìè ti dicu? Suennu a statu, scià curcamuni ca è megghiu>
Ni sce Curcammu ‘nGrazzia di Ddiu.  Dopu mancu doi’ ore Cosimu si oza…..io mi sbeglio e vecu ca tinia l’affannu e l’uecchi sciangàti: <C’è a ‘ncappàtu?>
<Cusimì (anche mia nonna si chiamava Cosima…), tinìvi raggiòne, lu laùru s’ha misu sobba lu stommicu e mi ste fascìa pirdè fiatu>
< A vistu ca tinìa raggione? Aspètta Co’, mamma ‘Nzata (la madre di mia nonna) n’ha ‘nzignatu sta litanìa…dilla cu mè:

Bonasera a GisiCristu
Bonasera alla Madonna
Bunasera allu laùru di li casi…
Cacciàti lu male e lu beni cu trasi.

La nuttàta passò ‘bona, la matìna apprièssu parlai cu la padrona di casa ca stava affiancu e mi dissi ca a na famiglia ca era javitatu ‘ddà, bueni anni arretu, l’era muertu nu piccìnnu appena natu, senza cu fannu attiempu mancu cu lu vattèscinu.

Da allora mia nonna aveva l’usanza di mettere sempre una scopa dietro la porta…..io all’inizio credevo fosse per legittima difesa, nell’eventualità qualche malintenzionato entrasse in casa.  Invece quando mi decisi a chiederlo mi disse che la scopa serviva per i laùri…
Piccè si fissanu c’annu  cuntà li setili…siccomu teninu l’ogni longhe le setili le scappanu, perdenu lu cuntu e zzeccano a cuntà n’otra  vota e no donnu fastidiu alli cristiani.

In “U Briviarie d'a nonne” di Claudio De Cuia , come invocazione contro l’aure riporta :
Bonasera Madonna mejie
Bonasera GeseCriste mije
Buonasera pure a ‘tte, aure de casa
‘u male cu jesse, ‘u ‘bbene cu trase!”
...e per impaurire i bambini  incantati ad ascoltare ... si evocava un' altra figura.
...La malombra era lo spirito di una donna altissima, vestita di bianco o di nero che si aggirava per le strade dopo il calar del sole e rapiva i bambini lasciati soli. Probabilmente l'anima vagante di una madre cui avevano tolto i figli.
Laùri, aùri, malombre tutti esseri che si crede possono essere visti solo da quelle persone a cui durante il battesimo hanno sbagliato a recitare le preghiere battesimali. l'incompletezza formale del Sacramento ricevuto rende queste persone "avvicinabili" dagli spiriti.

sabato 16 luglio 2011

'A Madonne d'u Carmene

 


Per la presenza e l'importanza delle Confraternite, a Taranto la Madonna del Carmine è venerata e festeggiata.

Ricordo che ogni anno, il giorno della Madonna del Carmine, mia nonna recitava questa preghiera:

O viènde de scirocc‘o tramundàne,
tutt’u' munne circundà v
ulìa
pe scè truà Maria Carmelitana
Quedde c'aiuta e salva ogni cristiane.
Jate a quidd’ ome ca’ l’ador’ e l’ama
U ggiurne Sue vène nà vote a semàna,
‘u mercoledì no
ss’ha ‘ncammaràre
De l’abbitine
Sue no te scurdàre.

Sette Avemarie, sette Padrenostre
E sette Gloria Padre nuje recitàme
E ci cu ‘u core ‘mmane le dicìme
Pene de purgatorie no patìme.

Ma ci pe malasorte a ‘u Priatorie sciàme,
'lluscèsce quidde sabbate matìne
E Maria Carmela col Suo splendore
Ne de la libertà e ne càccia fòre.

Questa preghiera  alla Madonna del Carmelo, si rifà ad una credenza popolare secondo la quale chi :
•   è confratello / consorella  della Confraternita del Carmine,
•   indossa sempre l’abbitino – ossia lo scapolare con l’effige della Madonna 
•   recita  tutti i giorni / Pater, Ave e Gloria
•   osserva il digiuno, evitando di mangiare carne il mercoledì
Riceve dalla Madonna del Carmelo la grazia del “privilegio sabatino” – ossia di essere “liberato dalle fiamme del Purgatorio, il sabato successivo alla morte.

e tutto questo, per una leggenda o storia.....

...Si, una storia antica che parla di un "Luigi Re" a Taranto...( forse per la corrispondenza tra Principato di Taranto e Regno di Napoli , potrebbe essere Luigi di Taranto, figlio di Filippo I°)...

una storia che recitava mia nonna e che io, grazie a  mia madre che la ricorda a memoria, ho ricostruito, per regalarvela...

"Stave nà vote, nù misere pittore,
sapeva ‘cu’ pinnjiedde maneggiàre
faceva ritratte di considerazione,
Luigi Re ‘u sapì e ‘u mannò a chiamàre.

Prime cu trase fece a riverenza
< Ccè me cumanne Vostra Eccellenza?>
<No te pigghià paure né timorenza,
cà a figghia toje, Carmela, me vogghie spusàre>

'U pittore disse facenne l’inchine:
<Come po’ essere maje stù grande onore
Nà figghia de misere pittore, po’pareggià cu’ nu gran Signore?>
<Jie te prumette ca da stasera a cré matine,

 Carmela a fàzze addiventà na Reggina>

Lu zite cu la zita erane cuntiende
Ca de stu munne no ne sapevane niente
Indre stu munne chine de odie e falsitàte
Quarcune scrivì nà lettera.....
“Luigi Re alla Spagna s’ha ‘ppresentàre”

Jidde chiangeva forte,
nò sapeva a ci lassà ‘a consorte
Una delle sore se n’ha ‘ddunate:
<Vattinne frate mije, vattinne scuscetàte
Cà mugghierete reste cu ‘do canàte!>

Arrivate ‘u sabbete matine, Carmela belle se vose fare,
Nù poche 'a cape se fece pettinàre
Nu poche ‘a faccia si fece lavàre
E ‘u diamante suse ‘a u buffettine ‘àvì a lassàre

Una de le canate se n’è ddunate’
E mentre Carmela se stè preparave
Jedd ‘ù diamante s’ha pigghiate
e na povera vicchiaredde ha chiamàte 

<stù diamante a ‘u Re de la Corona, adda purtàre –
Abbasce l’uecchie, e 'a cape adda gghicàre,
pe dìcere: “Quiste vu manne la vera Reggina”>
A vicchiaredde no se fece prjiàre

‘U Re de Napoli d’à vicchiaredde ha ‘vute pietà
‘E pure ca no canusceve ci l’avere mannate
‘u diamante ringrazianne s’ha pigghiate.

Se sente che torna Luigi Re de la Spagna,
le sore, come padre’ missiunante
prime da mugghiere l’hanna assute annante

<oh! Ben tornato fratello caro >
<Oh! Ben trovate care sorelle>
Jidde preoccupate d’a consorte ha ‘dummannate:
<La tua consorte t’ha macchiato onore e trono’,
ha dato ‘u diamante a ‘u Re della corone’>

Jidde ha sciùte a casa e denzia alla mugghiere nunn’ha date
Ha chiamate quattre sudditi del suo reame:
<Pigghiate sta Signora e portatela a fare nà passeggiate’>
...
<Quanne arrevate a ‘u stradone
fascitela ‘nghianà sobbe ‘u barcone
po’ quanne ve truate 'o largo ‘mminze a mare,  

scittatela e fascitela annegare>

Le viest’ ca purtàve, varche se fescere e galleggianne scevene.
Tutte na vota s’appresentò nu pesce
< Nò t’intimurì, Carmè no t’appauràre
so n’Angele dù ciel mannate da Dije pe te salvàre>

Subbite na barche cumparì pe cumbinazione
E venne a salvà Carmela, pe compassione.
Ma pe na fèmmene stare su nna barche è disonore
A ci tagghiave, ci cusève, a vistèrene de mièdeche maggiore.

‘U pesce à chiamò e le disse:
<Ta scère da Luigi Re, ca stè male ancora,
mittele na mane ‘mpiette’ e jidde sane e nò more>

Carmela cussì fece e 'u Re sanàte’ a ringraziò assajie
<Pigghiete quidde ca vuè miedeche mije>
<Nò vogghie ninde mia Maestà
Sule nù ggiurne sobb’à Luigi Re vogghie putè cumannàre>

Allora 'u Re ‘subbete’ st’ordine fece stampàre
E Carmela pe nu ggiurne' putì cumannàre>
Sule nà legge fece fàre:
“Le carcerate àvìt’ a libberàre,
e ci tene cause storte cu vene qua>

‘U prime a presentarse fu nu pittore e disse:
<Gentilissimo Dottore, teneve nà figghia e l’agghie date sposa
pe sposa a nù Signore l’agghie date
Da quiddu giurne no me l’ha fatte vedère na vòte

<Mandatemi a chiamare stu Signore
Cussì s’a vene conta 'a ragione>
‘U Signore come fù ‘u disse apprime
<E’ morta e l’ho fatta seppellire>

Mandatemi a chiamare u Cappellane’
Cussì s’a vene conta la ragione>
‘U Cappellane come fù ‘u disse apprime:
< L'hagghie spusata’, ma seppellita no>

‘U Signore se vòte cu nu volte amare
<L’ha seppellita l’acqua d’u mare>
<Tanta male ha fatte pe se merità stà morte brutte ca l’è fatte fare?>
<Une me n’ha fatte, ca ancora no le perdone: 

ha date ‘u diamante a ‘u Re de la Corone>

Mandatemi a chiamare stù Signore
Cussì s’a vene conta la ragione>
‘U Signore come fù ‘u disse apprime
<Jie Regina no l’agghie maie canusciute,

‘u diamante da n’à vicchiaredde l’agghie avùte’>

Mandatemi a chiamare sta vicchiaredde’
Cussì s’a vene conta la ragione>
A vecchia come fù ‘u disse apprime
<le sore m’hanne cumannate>

Mandatemi a chiamare le sue sorelle
Cussì s’a venen’ a contane ‘a ragione
Le sue sorelle come fù ‘u dissere apprime
<Male a nostro Fratello nujie vulìme>

Allora la condanna fu stampata
“La vecchia n’anne e minze carcerata
E alle sore a’ cape tagghiate”

‘Ma ‘u pittore chiangeve scunzulate:
<Tutte 'u mare circundà vulìa
Tutte le pisci addimmannà vulìa
Pe truàre n’osso de Carmelina mia>

'U miedeche se cale ‘mpiette e pigghie l’abbitino
<Jie de stà Vergine no me pozze scurdàre
Ma de na cosa me fazze meraviglie
Na ‘ttane nò canosce a’ figghie?

Stave deponte e cadì facce ‘nderre
E apprjiesse cadì ‘a Signoria
<Cara Consorte, Jie me òze de qua
Quanne tu me viene a perdunàre>

<Cu te perdone Dije, ca da parte mije t'agghie perdunate...
Maria tene scritte suse ‘u vele
“ci face bene ‘ndere gode ‘n’ciele

Maria tene scritte sul Suo viso
“ci perdone ‘nderre gode ‘u Paradise”.