sabato 2 maggio 2015

Spaccàre a croce

Da qualche anno vige il Rito Concordatario col quale le formalità del Matrimonio Civile vengono espletate in chiesa, durante e contestualmente alla Funzione religiosa.
Una volta non era così ...
gli sposi, circa tre mesi prima del matrimonio in chiesa, dopo aver "cacciato le carte" (dopo aver presentato i documenti ), andavano in Comune, dove alla presenza del sindaco o di un funzionario f.f., veniva celebrato il rito civile - con la lettura degli artt. del C.C. -  dopo il quale si procedeva alle pubblicazioni.
Anche se era la cerimonia religiosa quella più attesa e più importante che dava inizio alla vera vita matrimoniale, dal punto di vista formale dal giorno delle pubblicazioni gli sposi erano legalmente marito e moglie.
L’espressione dialettale che definisce questa tappa importante della vita di coppia è appunto

"Spaccàre 'a croce"  (spaccare la croce)

 Sul perchè, di questo modo di dire ci sono interpretazioni diverse e contrastanti:

C'è chi dice che si spacca la croce, perchè si dividono i propri problemi ( che vengono detti "a croce") e si condividono quelli del coniuge - dividere la propria croce con unìaltra persona (spaccare la croce, appunto).

C'è invece chi da una versione diversa e ci spiega questo modo di dire collegandolo all'alto tasso di analfabetismo che impediva di scrivere
il proprio nome, per cui  la firma  veniva sostituita da un segno di croce.
Quando alla fine del matrimonio civile gli sposi e i testimoni, dovevano apporre le firme,
l'officiante (sindaco o delegato) metteva un segno  per indicare dove dovevano “firmare”
 
e gli sposi firmavano, con un segno perpendicolare,  "spaccando"  quello precedente formando la croce, ossia "spaccando a croce".
Alla luce di questa spiegazione l'espressione corretta dovrebbe essere "spaccàre a croce" (spaccare a croce).








A zita de Puzàne

 
Si racconta che a Pulsano, un paesino della provincia di Taranto, c’era una ragazza molto vanitosa a cui piaceva molto vestirsi con abiti “ all’ultima moda” e abbastanza appariscenti.
Immaginatevi quindi come era vestita il giorno del suo matrimonio: una gonna ampia tutta a balze  con pizzi e fiocchi, un corpetto tutto ricamato con nastri e lustrini,  un lungo strascico ed un’acconciatura con piume che si innalzavano al cielo, oscillando ad ogni passo.
Attraversò così tutto il paese,  sentendosi una “regina” e scatenando invidie e critiche.
Giunta davanti alla chiesa si presentò un problema:  il vestito era così ingombrante e voluminoso che la sposa non passava  dal portone della chiesa. Il padre le chiese di togliersi il cappello, ma lei non volle, per non rovinarsi l’acconciatura dei capelli. La madre le consigliò di chinarsi, ma lei non volle,  per non sgualcire il vestito.
La “zita” (sposa) pretendeva invece che venissero chiamati dei muratori per allargare il vano del portone della chiesa.
Intanto il tempo passava, ma neanche le preghiere del prete riuscirono a convincere la sposa ad  “ abbassare la testa ”.
Ad avere la meglio sui capricci della sposa fu l’impazienza di uno degli invitati che, si piazzò dietro la sposa viziata e, con un improvviso calcio nel sedere la fece arrivare di colpo al centro della chiesa!
Sull’altare però lo sposo non c’era più perché, avendo assistito a tutta la scena, aveva pensato bene di cambiare idea abbandonandola ai suoi capricci.

Da allora ancora oggi una persona capricciosa e con molte pretese che,  temporeggiando per ottenere tutto, finisce per ottenere niente,  si dice che è come  “a zita de Puzàne ... ca remanì sola c’u màzze mmàne” …