lunedì 22 gennaio 2018

I medici e la spina.

Un giorno un pescatore, mentre lavorara, si fece male ad una mano. 
I giorni passavano ma la ferita non guariva e la mano era gonfia. Decise così di andare dal suo medico di famiglia. 
Il dottore disinfettò la ferita, gli fasciò la mano e gli disse di ritornare dopo tre giorni.
Tre giorni dopo il pescatore tornò dal medico che medicò la ferita, cambiò la fasciatura e gli disse di tornare dopo tre giorni.

La cura andò avanti così e, tra una medicazione e l'altra,  come creanza vuole, il pescatore, non mancava di portare al medico casse di pesce fresco.

Intanto, l'anziano medico, ormai prossimo alla pensione, un giorno si assentò, lasciando nello studio il figlio che, fresco di laurea si preparava a prendere il suo posto.
Quel giorno il pescatore doveva fare la sua medicazione. Quando arrivò il suo turno, entrò nello studio e mostrò la mano dolorante al giovane medico che, dopo aver esaminato la ferita, prese una pinza e tolse la spina che aveva al dito e che era causa dell'infezione e, dopo aver disinfettato salutò il pescatore che già cominciava a sentirsi meglio.

Finita la giornata il giovane dottore tornò a casa e raccontò al padre come era andata:
<... è stata una giornata tranquilla, è venuto un  pescatore per la medicazione alla mano ma mi sono accorto che il problema era una spina in un dito, l'ho tolta ed è andato via che si sentiva già meglio. >
Il padre lo guardò e gli disse: 
< Bene, sei stato bravo! Ma devi imparare molto. Sapevo di quella spina che stavo medicando da tempo e non era un pericolo. Ora l'hai tolta, il pescatore guarirà, ma noi abbiamo finito di mangiare pesce fresco! >

Le pestùre de Zuccarette


 I proverbi sono un compendio di saggezza popolare e fanno parte della cultura nazionale, tradotti in ogni dialetto, trovano riscontro in ogni regione, provincia e paese ma, ci sono dei detti che rimangono tipici di una delimitata zona perchè citano personaggi locali.


A Taranto si dice:
  • Cè tenime le pestùre de Zuccarette?   (mica abbiamo le cisterne d'olio di Zuccaretti)
oppure: 
  • Do Zuccarette t'attòcche! (da Zuccaretti ti tocca andare)
Queste erano le risposte tipiche date a chi si lamentava per la scarsità dell'olio nelle pietanze. 

Ma chi era questo proverbiale Zuccaretti?

Arcangelo Valente, illustre storico tarantino, nel suo libro Case vecchie e case nuove  a proposito delle abitazioni nobili della città vecchia dice:
"Nella piazzetta San Costantino era la splendida casa dei Falconibus, oggi appartenente ai Gigante, dove albergò Ladislao Durazzo, sposo di Maria di Brienne, principessa di Taranto e vedova di Raimondo Orsini... Rimpetto stava l'abitazione dei Montefuscoli, casa Zuccaretti ..."
 Da questo si deduce che, nella rinomata zona bene della città vecchia, esisteva una casa Zuccaretti, dove vi abitava una famiglia Zuccaretti,  una famiglia nobile di origine napoletana, di cui si sa poco e niente, tranne che Michelangelo Zuccaretti ne fu l'ultimo esponente, l'ultimo feudatario. In giovane età perse il padre, ucciso da ladri che saccheggiarono la loro dimora, Michelangelo allora decise di lasciare per sempre Taranto  e rigugiarsi nel castello di Massafra dove morì la notte del 15 maggio 1859 all'età di 65 anni.
 Rinomata invece la loro immane ricchezza e i loro proverbiali pesture, ossia cisterne nelle quali conservavano l'olio di oliva prodotto dai loro vasti uliveti. 
La vastità del patrimonio era pari alla noncuranza dei proprietari, e le pesture de Zuccarette, poichè la sorveglianza era quasi del tutto inesistente, erano oggetto di interesse da parte dei ladri che avevano libero accesso a sottrarre notevoli quantità di olio al ricco signore.
I ladri, al contrario dei padroni, non erano sprovveduti, e si organizzavano a turni, mettendo sempre qualcuno come palo, il quale rassicurava i compagni con la frase:  

  • fatiàte allegramende, ca da quà no ppasse ggende!
frase usata ancora oggi per apostrofare chi compie un'azione illecita.
Invece il detto: Puzze d'uegghie de Zuccarette!(Puzza di olio di Zuccaretti ) viene usato per sottolineare la dubbia origine di qualche fortuna.